Yvan Sagnet, l’eroe qualunque che si è ribellato al caporalato, ci racconta la sua storia e il sogno di NOCAP

 
NOCAP, il movimento di attivisti nato dai membri del comitato Cetri-tires che ha tutelato migliaia di lavoratori e migranti vittime del reclutamento illecito di manodopera attuato dai caporali nelle campagne del sud Italia.


Com’è nato il comitato NOCAP?

“NoCap nasce dalla volontà di un gruppo di attivisti già membri del Cetri-tires di dare risposte ai fenomeni di sfruttamento lavorativo come il caporalato, schiavismo e lavoro nero di cui sono vittime i lavoratori nel settore agricolo. NoCap si basa su un marchio finalizzato a certificare dal punto di vista etico, biologico e ambientale il lavoro e il prodotto lungo la filiera agroalimentare dalla produzione alla commercializzazione. Verrà esteso ad altre attività produttive visto che il lavoro irregolare non riguarda solo l’agricoltura”.

Cos’è che ti ha spinto a denunciare personalmente il caporalato e a scrivere un libro a riguardo?

Era il 2011 quando al politecnico di Torino persi la borsa di studio il che significò che per mantenermi gli studi dovevo iniziare a lavorare. Giungo a Nardo’ in quell’estate per fare il raccoglitore di pomodori e scopro la dura realtà del caporalato, una questione mai sentita prima. Dopo qualche giorno di lavoro in cui venivo trattato come schiavo decido di ribellarmi e convinco i miei compagni a fare lo stesso. Di seguito nacque un importante movimento di sciopero per rivendicare migliori condizioni di lavoro. Il mio libro ricalca quell’esperienza per denunciare pubblicamente quel fenomeno.

Potresti darci delle informazioni sulle struttura interna di tale fenomeno?

Innanzitutto bisogna ricordare che all’origine del fenomeno ci sono gli imprenditori agricoli che invece di assumere direttamente i lavoratori nei centri preposti, si avvalgono di caporali. I caporali investiti del potere a loro delegato dalle imprese, ne approfittano per ricattare e commettere ogni tipo di abuso nei confronti dei lavoratori. Dall’altra parte l’assenza di strutture abitative per i braccianti nelle zone interessate dal lavoro stagionale favorisce il proliferare dei ghetti; baraccopoli di plastica, cartone e legno auto-costruite dai lavoratori. I ghetti sono gestiti dai caporali che mettono a disposizione dei lavoratori, mediante forti somme di denaro, servizi essenziali, dall’affitto dello spazio per dormire, alla ristorazione. L’isolamento dei ghetti dai centri abitati rendono i lavoratori migranti invisibili quindi alla mercé dei caporali. Un bracciante agricolo per soddisfare qualsiasi bisogno primario, ad esempio per recarsi al supermercato, in una struttura ospedaliera oppure al lavoro, si rivolge al caporale pagando una tassa di trasporto per cui la sua dipendenza materiale dal caporale è strettamente legata alla sua condizione di ricattabilità e dal fatto che sia un soggetto “esterno” allo spazio pubblico. Il mercato del lavoro è gestito dai caporali che hanno mani libere sull’impiego della manodopera. Di solito il rapporto di lavoro avviene in nero e a cottimo ovvero la paga di un bracciante è proporzionale al numero di casse di prodotti riempite durante la giornata lavorativa e per ogni cassa di prodotti, il caporale preleva una percentuale. 

Attualmente ritieni di essere sufficientemente protetto dallo Stato Italiano in questa battaglia che stai conducendo?

Con tutto rispetto, su questo non mi esprimo.

Sicuramente sarai coinvolto in nuovi progetti. Se sì, quali?

Il mio principale obiettivo è rendere NoCap un progetto strutturale.

Che tipo di politiche proporresti al fine di tutelare queste forme di lavoro?

Il caporalato si basa sull’assenza di controlli. Intensificare i controlli da parte dell’ispettorato del lavoro. Riformare il mercato del lavoro in agricoltura, in particolare con la reintroduzione del collocamento pubblico. Serve una legge repressiva sulla responsabilità in solido del datore di lavoro principale responsabile del problema. Le imprese devono rispettare le norme contrattuali applicando i CCNL (Contratto Collettivo Nazionale Lavoro) . La GDO (grande distribuzione organizzata) ha un potere assoluto nella gestione dei prezzi con ripercussioni negative lungo la filiera ed a pagare il prezzo sono da una parte i piccoli produttori che non ce la fanno a sostenere il costo del lavoro e dall’altra i lavoratori all’ultimo anello della catena per cui serve una regolamentazione sulla gestione dei prezzi dei prodotti e una legge sulla certificazione etica d’impresa visto che oggi secondo una ricerca tre prodotti su cinque, che vanno a finire sulle nostre tavole, provengono da filiere che si avvalgono di sfruttamento. L’agricoltura europea e quella italiana in particolare ricevono tramite la PAC (politica agricola comunitaria) importanti finanziamenti ed io chiedo di vincolarli alla qualità del lavoro e dei diritti.  


La voce di Yvan non è rimasta inascoltata, e proprio nel 2011, l’anno in cui è iniziata la protesta a Nardò (Puglia), è stata approvata la legge 603 bis sul reato di caporalato. Una voce che, siamo sicuri, è destinata ad andare lontano. Ringraziamo Yvan Sagnet per l’intervista concessa a Romboweb. 

Martina De Marco Agrosì

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