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brevi chiacchierate semiserie con Matteo Gabbianelli, voce e frontman dei kuTso. Presto a Sanremo!

I kutso, per loro stessa ammissione, si definiscono così: I” KuTso uniscono scherzo e provocazione ad un linguaggio musicale gioiosamente frenetico. La loro musica solare e irriverente è il tappeto sonoro di testi segnati da forti dosi di simpatico disfattismo e smielato sarcasmo. I concerti, veri e propri mix esplosivi di nonsense, disperazione, movimenti inconsulti, invettive e travestimenti estemporanei, trasportano il pubblico in un’atmosfera surreale e sgangherata.”
Questa intervista “semiseria” viene fuori da decine di e-mail scambiate durante gli ultimi mesi e quasi un po’ per gioco, proprio rispettando lo spirito del gruppo, mi è venuto in mente di metterle insieme e di racchiuderle in una specie di intervista. Nulla di dogmatico, di schematico o di prettamente giornalistico, una lettura facile e veloce che ci avvicina ad uno dei migliori gruppi emergenti del panorama italiano. Tra l’altro, notizia proprio di pochi giorni fa, i kuTso saranno anche tra gli otto partecipanti alla sezione “nuove proposte” del prossimo Festival di Sanremo. 

Quali pensi che siano le qualità migliori che un gruppo deve avere oggi, quali, invece, le cose da evitare?

Sicuramente bisogna essere manager di se stessi, informarsi su tutto ciò che riguarda la gestione del proprio progetto musicale, capire il prima possibile cosa si vuole fare della propria vita ed avere determinazione e costanza per raggiungere l’obiettivo.
Evitare assolutamente di fidarsi del primo tizio che ci riempie di complimenti e ci promette mari e monti proponendoci il suo “splendido contrattino pluriennale” o chiedendoci i soldi per una coproduzione che in realtà è una autoproduzione camuffata.

“Dissacranti”, “irriverenti”, “surreali”, “filosofici”. Più di un giornalista ha utilizzato questi e molti altri aggettivi per descrivere i kutso. Ma tu come definiresti i kuTso?

Onnicomprensivi.

 

I tuoi tre gruppi musicali preferiti? 

Nirvana, Iron Maiden, New Trolls.

Parlami di “Decadendo”. Quali sono, rispetto al tuo punto di vista, le qualità migliori di questo album.

“Decadendo” è composto da canzoni dirette, brevi, che vanno subito al sodo. L’impatto immediato è la componente credo più efficace dell’album insieme alle melodie ariose che accompagnano testi sinceri e senza mezze misure.

Avrei voluto avere più tempo per produrlo, la qualità del suono, per quanto dignitosa, non mi soddisfa appieno perché abbiamo fatto tutto molto di corsa utilizzando registrazioni vecchie anche di anni che abbiamo ritoccato negli arrangiamenti e remissato.

Progetti in cantiere? So di un album in uscita. Puoi dirci qualcosa?

Abbiamo da qualche mese concluso la produzione del nostro secondo album, ma stiamo capendo nelle prossime settimane con chi pubblicarlo quindi tutto è ancora da decidere.

Che peso, importanza, hanno nei kutso i testi e la musica? Come partorite una canzone?

Si parte sempre prima dalla melodia. Improvviso motivetti cantando in finto inglese e accompagnandomi con una chitarraccia acustica suonata male. Quando, dopo vari tentativi, trovo una melodia che mi rimane in testa, comincio a scrivere le parole. Una volta composto lo scheletro della canzone, lo porto in sala e lo arrangiamo insieme.

La canzone che avresti voluto scrivere. Sii sincero.

“Buddy Holly” dei Weezer.

Se dovessi pensare ai Kutso a quale film – libro – opera d’arte li assoceresti?

film: “Provaci Ancora Sam” di Woody Allen
libro: “Siddharta” di Hermann Hesse
opera d’arte: “Marilyn” di Andy Warhol

Parliamo di festival italiani. Ho letto di Sanremo, ci vuoi dire qualcosa? E del Primomaggio che mi racconti? Quali sono le grandi differenze tra i nostri festival, magari anche quelli più piccoli e quelli europei?

Artisti, organizzazione, pubblico, spazi, costi.
Sanremo no comment, tutta scaramanzia!
Il Primo Maggio è stata un’esperienza breve, ma intensa. Suonare davanti a trecentomila persone mi ha confermato che questo è ciò che voglio continuare a fare. Sentire il boato di tutte quelle persone che strillano assieme mentre sei sul palco mi ha dato una sensazione di onnipotenza che anche se un po’ mi spaventa, al contempo mi eccita e mi diverte. In fondo è un gioco, ma assolutamente elettrizzante.
Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, io credo che ormai le grandi produzioni si equivalgano un po’ dappertutto. Festival come Rock In Roma o Rock in Idro sono manifestazioni che non hanno nulla da invidiare ai corrispettivi europei. Però è innegabile che a livello di spazi l’Italia lasci ancora molto a desiderare; in Inghilterra ad esempio le aeree per gli spettacoli sono molto più attrezzate e organizzate razionalmente. Da noi bisogna arrangiarsi con quello che passano i comuni e le regioni, ovvero location che nella quasi totalità non sono nate per ospitare eventi musicali.

(questa ultima domanda è stata fatta esattamente tre giorni prima del verdetto che li avrebbe visti poi essere ufficialmente inseriti nella “sezione giovani” del Festival di Sanremo. Quando uno dice che la scaramanzia non serve a nulla!)

 Anastasio Karonis

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