Guida tecnico-pratica per orientarsi nel mondo del sostegno

Secondo gli ultimi dati forniti dall’ISTAT, nell’anno scolastico 2020-2021 gli studenti con disabilità che frequentano le scuole di ogni ordine e grado sono aumentati del 3,6%, arrivando ad un numero stimato di circa 300.000 alunni.

Sempre secondo lo stesso report ISTAT, anche il numero dei docenti di sostegno è aumentato, arrivando a circa 191.000 (1,4 insegnanti stimati per studente). Ma, in questo caso, il dato è inficiato da due – amare – osservazioni di carattere qualitativo:

  • Un insegnante su tre, circa il 34%, non ha una formazione specifica per il sostegno didattico (ossia, circa un terzo degli insegnanti di sostegno attivi lavora senza il relativo titolo di specializzazione);
  • Ogni anno, circa il 20% degli insegnanti di sostegno (specializzati o meno) viene assegnato in ritardo rispetto all’inizio delle attività didattiche.

Entrambi questi fenomeni, rileva l’Istituto, hanno una maggiore concentrazione nelle regioni del Nord, dove gli insegnanti privi di specializzazione che lavorano nel settore rappresentano circa il 44% del campione totale.

Ma come è possibile? Da cosa deriva questo evidente gap? È chiaro che la prima criticità sta proprio nella formazione dei docenti di sostegno, un problema tutto universitario.

I TFA Sostegno

Già in un’altra occasione qui su Rombo vi avevamo parlato dell’annoso problema, tutto italiano, della formazione dei docenti; ma quello del come si diventa insegnanti di sostegno è un tema con una storia ben differente dalle questioni legate alla nuova riforma 60 Cfu. 

In primo luogo, dal 2011 per diventare insegnanti di sostegno nelle scuole di ogni ordine e grado è necessario conseguire il titolo di specializzazione in sostegno didattico.

Si tratta di un vero e proprio percorso di formazione post-lauream, della durata di poco meno di un anno, cui gli aspiranti docenti di sostegno possono accedere solo dopo aver già conseguito il titolo di laurea magistrale e aver superato una serie di prove di ingresso (una preselettiva, una prima prova scritta e una seconda prova orale). I corsi di specializzazione in sostegno didattico (o TFA Sostegno) vengono infatti erogati unicamente dalle Università pubbliche (cosa che esclude quindi gli Atenei telematici), a seguito di veri e propri bandi di concorso a numero chiuso, pubblicati a cadenza annuale.

In secondo luogo, dal 2017 agli aspiranti insegnanti di sostegno il Ministero dell’Istruzione richiede come requisito di accesso alle prove di ingresso oltre alla Laurea Magistrale anche il possesso dei vecchi 24 Cfu e della relativa attestazione PEF24. 

L’imbuto formativo

Già da queste prime informazioni è possibile individuare la causa del perchè, in Italia, oltre un terzo degli insegnanti di sostegno lavori senza essere in possesso del titolo di specializzazione: i TFA Sostegno, come detto, sono a numero chiuso e i posti banditi ogni anno dagli Atenei nazionali sono di gran lunga meno dell’effettivo fabbisogno delle scuole.

Di conseguenza, gran parte dello studentato necessitante di sostegno didattico rimane sprovvisto di un docente qualificato, costringendo le scuole a ricorrere a docenti privi di specializzazione ma comunque presenti nel loro organico, o convocati dalle infinite graduatorie per le supplenze. 

A ciò è necessario aggiungere che, come è prevedibile, le Università non erogano i TFA Sostegno a titolo gratuito: trattandosi di corsi di specializzazione post-lauream, essi non sono soggetti alla legislazione nazionale sulla tassazione ridotta su base ISEE. Ragione, questa, che spinge molti giovani aspiranti docenti di sostegno a rinunciare ai corsi a causa delle tasse di iscrizione troppo elevate. 

Chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti…

Ovviamente, questa situazione oltre a causare un notevole disagio alle famiglie degli studenti con Bisogni Educativi Speciali (BES), si riverbera anche sugli stessi. Infatti, come dimostra l’ampia letteratura scientifica in tema, l’instabilità generata dalla carenza di docenti di sostegno determina per questi studenti una ulteriore difficoltà di integrazione e di apprendimento, rendendo spesso vani i progressi fatti. 

A ciò si aggiunga un elemento tutto nostrano: spesso, anche i docenti che conseguono la specializzazione sul sostegno scelgono di non lavorare in tale ambito. La ragione sta nel fatto che il possesso di questa specializzazione garantisce un migliore punteggio in graduatoria e molti docenti conseguono questo titolo più per ragioni strumentali ad una migliore posizione lavorativa che per la finalità primaria del titolo stesso. Una stortura vera e propria che grida italianità in ogni sua parte. 

Ministero del Merito?

Con la nascita del nuovo Esecutivo, il Ministero dell’Istruzione ha cambiato nome, acquisendo la denominazione ufficiale di “Ministero dell’Istruzione e del Merito”.

Sarebbe lecito chiedersi che tipo di merito sia quello di una intera popolazione studentesca che ogni anno rimane intrappolata in queste dinamiche. Sarebbe altresì legittimo chiedersi che tipo di merito vi sia in una idea di formazione dei docenti di sostegno che impedisce ogni anno a tantissimi aspiranti di accedere ai relativi percorsi di specializzazione.

Come cantava Gaber: “Io non mi sento italiano/ma per fortuna o/purtroppo lo sono”.

Simone Forcucci

Di Simone Forcucci

Classe '93 (sì, sono vecchio, lo so), laureato Magistrale in Scienze Filosofiche, laureato Magistrale in Scienze pedagogiche, mematore professionista. Mi occupo prevalentemente di scuola e di quel contorto e perverso rapporto che la politica ha con la scuola italiana. Anche se laureato, mi piace collaborare con Romboweb al fine di divulgare al meglio possibile presso i futuri insegnanti le notizie che da quel mondo, spesso ignoto e oscuro, provengono.

2 pensiero su “Docenti di sostegno cercasi”

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