Abbiamo intervistato Yara, una ragazza palestinese che ci ha raccontato la sua storia.

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Capita a volte di incontrare persone che ti cambiano in qualche modo, persone il cui dolore e la cui forza sono così forti da scuoterti. Yara Khaled Abushab è una di queste persone: è palestinese, ha 22 anni ed è arrivata in Italia, precisamente a Pescara, per uno scambio con l’università D’Annunzio, uno scambio che sarebbe dovuto durare un mese; ma, a pochi giorni dal suo arrivo, Yara si è vista negato l’accesso al suo paese perché l’esercito israeliano aveva cominciato a bombardare. Yara ci ha raccontato della sua Gaza e della sua Palestina e di come il conflitto abbia spazzato via tutto.

(Quest’intervista è stata tradotta dall’inglese)

Innanzitutto, raccontaci la tua storia.

Per prima cosa, grazie per quest’intervista. Io sono Yara, una studentessa di medicina di Gaza e sono arrivata in Italia il primo ottobre come parte di un programma di scambio culturale dell’università D’Annunzio che sarebbe dovuto durare un mese. Sono venuta in Italia con un permesso di soggiorno da visitatrice che durava un mese e, una settimana dopo, la guerra è cominciata nel mio paese. Sono rimasta bloccata qui e non potevo tornare neanche se il mio permesso fosse scaduto, quindi ho dovuto richiedere l’asilo. Sono passata dall’essere una studentessa di medicina in scambio ad una richiedente d’asilo in un paese straniero.

Volevo chiederti della tua famiglia: loro sono a Gaza e ovviamente non sono al sicuro.

La mia famiglia certamente non è al sicuro e sicuramente non sta bene, ma sono vivi. Siamo del Sud di Gaza e la nostra casa è stata bombardata e parzialmente distrutta perché è stata usata dagli israeliani come posto di blocco militare. Per questo motivo, la mia famiglia è dovuta evacuare dalla nostra casa a novembre e sono andati a Rafah che era considerato un posto sicuro, ma non lo è: i bombardamenti avvengono ogni giorno tutto il giorno. Ora sono a Rafah in una tenda come tutti gli altri. La situazione è terribile perché tutti e due i lati della mia famiglia sono di Gaza, io sono l’unica fuori dal paese ed è la prima volta per me, come sopravvissuta a quattro guerre, che non sono con la mia famiglia, quindi è molto difficile per me. Sfortunatamente ho perso membri della mia famiglia, mia zia e i suoi figli e ho già perso sette cugini, cinque sotto i 12 anni; erano con mia zia che è stata attaccata dall’esercito israeliano anche se aveva dei figli.

Riguardo la resistenza in Palestina e le proteste: un qualcosa che i nostri media non riportano spesso, ma tu sicuramente le hai vissute, anche perché tutto questo non è iniziato il sette ottobre…

Parlando di proteste, sono molto felice per quelle in tutta Europa e in Italia, adoro il fatto che i giovani stiano lottando per il cambiamento e la liberazione della Palestina… ed è vero questa guerra non è iniziata il 7 ottobre, stiamo vivendo questa catastrofe dal 1948. Io originariamente vengo da Giaffa che ora è parte di Tel Aviv: i miei nonni sono stati scacciati da Giaffa nel ’48 durante il nakba, ovvero il periodo in cui è nato lo stato di Israele. I miei nonni sono andati a Gaza e un sacco di altre famiglie sono andate in Giordania o nel West Bank, quindi io sono una rifugiata nel mio stesso paese, adesso però sono una rifugiata in Italia. Sto vivendo nel 2024 quello che i miei nonni hanno vissuto nel 1948. E’ un ciclo che si ripete e nessuno lo ferma, i governi supportano questo genocidio e la pulizia etnica della Palestina da parte di Israele, uno “stato” costruito sulla terra palestinese.

La casa di Yara a Gaza

Cosa ne pensi delle azioni dei governi mondiali che cancellano questo genocidio? Soprattutto quello italiano e la censura che c’è stata per quanto riguarda la Palestina

Non capirò mai come l’uccisione di più di 40 000 civili di cui 15 000 bambini non sia considerata un genocidio. Quello che stanno facendo i governi non è inaspettato perché tutto riguarda i soldi, ma io sono felice che le persone vedano ciò che succede grazie ai telefoni, perché quello che sta succedendo è accaduto anche nel ’48, ma oggi lo abbiamo in HD sui nostri schermi. Vederlo e continuare a dire che questo non è un genocidio è un problema. Penso che la generazione di studenti che vuole tagliare i ponti con Israele può fare qualcosa per cambiare il mondo. Non mi importa del governo, a me importa della nostra generazione e credo che quando saremo al governo riusciremo a fare qualcosa di importante. 


L’intervista risale a poche settimane fa: ad oggi, 9 giugno 2024, grazie all’aiuto di tante persone generose – da quando l’abbiamo intervistata – è riuscita a fare passi avanti per la sua famiglia: ma l’obiettivo finale della raccolta fondi non è ancora stato raggiunto.

Dopo l’intervista, siamo rimaste un po’ a parlare con lei, che ci ha raccontato della sua vita prima della guerra: di quanto fosse terribile, ma che, guardando indietro adesso, non vede altro che momenti felici; di come abbia deciso di fare medicina per aiutare il suo popolo; dei doppi standard, dell’aiuto dato all’Ucraina e di quello negato alla Palestina solo per il colore della pelle; di come i palestinesi siano costretti a difendersi dalle armi israeliane con delle pietre e di come l’esercito abbia scritto “memento mori” sulle pareti della sua casa.

Forse, però, la frase che più mi è rimasta impressa è una frase che le diceva il padre da bambina: “In quanto palestinese ti prenderanno tutto: la casa, i vestiti, l’anima, ma non potranno mai portare via la tua cultura”. Ed è per questo che Yara continua a studiare.

Quella di Yara è una storia di resistenza, di resilienza, di una bambina e di un popolo che troppo a lungo hanno vissuto sotto le bombe; la sua storia mostra la forza di palestinesi, troppo a lungo dimenticati.

Recuerdos de Hebrón. Al-Jalīl, Palestina.

Per aiutare Yara e la sua famiglia: https://www.gofundme.com/f/h5aha2-help-me-reunite-with-my-family

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