Nel silenzio generale, la D’Annunzio nega i servizi igienici a centinaia di insegnanti

Degli studenti un po’ agee

A partire dall’Ottobre 2023 l’Università D’Annunzio ospita, oltre ai normali studenti, anche dei corsisti particolari: potremmo dire dei “colleghi” un po’ agee. Si tratta di centinaia di insegnanti adulti, regolarmente iscritti all’ottavo ciclo del TFA Sostegno (vi abbiamo parlato dei percorsi TFA Sostegno in questo nostro articolo) nelle sue quattro articolazioni di indirizzo – Infanzia, Primaria, Secondaria di I grado e Secondaria di II grado.

Di questi studenti non parla mai nessuno: sia perché la durata del percorso formativo TFA Sostegno è di un solo anno, sia perché le lezioni di questo corso (a frequenza obbligatoria) si tengono nel fine settimana – dal venerdì alla domenica – quando, cioè, il campus è vuoto e gli studenti dei normali corsi di laurea sono a casa. In effetti, si parla così poco di questi corsisti, che lo stesso ateneo pare aver dimenticato la loro esistenza, nonostante il lauto pagamento, a corsista, di 2760 euro in tasse di iscrizione.

Breve storia semiseria della tragica quotidianità dei corsisti TFA

Date le particolari condizioni entro cui questi insegnanti frequentano le lezioni del TFA, magari vi aspettereste che il nostro ateneo – e sì, da ex studente laureato dico ancora il “nostro” ateneo, dato che anche chi scrive questo articolo è un insegnante che frequenta il TFA – abbia attivato dei servizi per questi studenti fuori tempo massimo. Se ci sono delle persone che vanno a lezione nel fine settimana, l’Università avrà attivato per loro dei servizi dedicati, magari prevedendo degli orari straordinari di apertura degli uffici in caso di estrema necessità… Niente di tutto ciò.

Da insegnante iscritto al TFA Sostegno, vi posso assicurare che andare a lezione nel fine settimana vuol dire che tutte le aule sono chiuse, ad eccezione delle aule 1 e 2 del Polo didattico di Lettere (dove si tengono le lezioni TFA per le maestre di infanzia e primaria) e delle aule A e B di Psicologia (dove si tengono le lezioni dei professori di medie e superiori). Così come sono chiusi tutti gli uffici dell’ateneo ed è assente qualsiasi forma e tipologia di personale tecnico, eccezion fatta per gli uscieri che devono aprire le aule che ci ospitano. Per farvela breve: paghiamo come tutti gli altri studenti, ma non abbiamo la metà dei servizi che uno studente qualsiasi ha a disposizione.

Un momento di “bisogno”

In questo allegro quadretto fatto di futuri insegnanti di sostegno che cavalcano unicorni rosa oltre l’arcobaleno, è capitato che lo scorso sabato 2 marzo si rompesse la tubatura degli unici due bagni presenti nello stabile di Psicologia. Provate a immaginare cosa voglia dire essere quasi 300 persone – a tanto ammonta il numero dei corsisti frequentanti il TFA per le secondarie di I e di II grado – e non avere a disposizione nemmeno un bagno in tutto il campus, tranne quello del Polo didattico di Lettere (decisamente distante dalle aule A e B di Psicologia).

Ovviamente, noi corsisti ci siamo attivati immediatamente per segnalare questo disagio ai docenti del corso, in quanto unica forma di personale di ateneo presente nel campus in quella situazione. La speranza – vana – era infatti che, messi a conoscenza del problema e sapendo che la successiva domenica 3 marzo noi avremmo comunque avuto lezione per tutto il giorno (le lezioni del TFA durano tutta la giornata, come potete leggere da voi nei calendari pubblicati sul sito), qualcuno si attivasse quantomeno per darci un’altra aula dove frequentare, non potendo ovviamente reperire un idraulico nel weekend.

Niente bagni? Problemi vostri!

Così, il mattino seguente siamo andati a lezione col cuore ricolmo di speranza… o forse era la vescica che era ricolma di qualcos’altro. In ogni caso, da qualche parte nel nostro “corpo docente” speravamo di trovare affissa davanti alla porta dell’aula un avviso che ci dicesse che, data la situazione, l’aula era cambiata. Dopotutto, in un campus completamente vuoto la domenica, non dovrebbe essere difficile individuare un altro spazio dove ospitarci; persino i grigi burocrati dell’amministrazione universitaria dovrebbero poterci riuscire. E invece, NULLA. Niente. Nein. Zero.

Disperati, con la prospettiva dell’intera giornata di lezione da affrontare senza nemmeno la possibilità di accedere ad un bagno, rinnoviamo alla docente il nostro invito a contattare qualcuno di un qualsivoglia ufficio – anche chiamando a casa, se necessario – per permetterci di cambiare aula. Finalmente, la docente riesce a contattare qualcuno, salvo poi rientrare in aula sconsolata, comunicandoci che la risposta dell’ateneo, dall’alto di quell’ecumenica saggezza che solo i burocrati targati UNICH possiedono, era stata che i bagni di Lettere erano funzionanti e che, se avessimo avuto “bisogno”, noi corsisti avremmo dovuto ogni volta attraversare il campus – ribadisco, dallo stabile di Psicologia al Polo didattico di Lettere.

Alla D’Annunzio si insegna inclusione ma non la si applica

Uno dei concetti chiave per chiunque lavori sul sostegno didattico è quello di inclusione, vero cuore pulsante di tutti gli insegnamenti attivati nel TFA. Ebbene, stando alla quasi totalità dei manuali di Pedagogia Speciale, l’inclusione è una situazione didattica in cui tutti gli alunni, e non solo quelli con esigenze speciali, vengono accolti e accompagnati nel proprio percorso educativo. Quella inclusiva è una condizione strutturale e non occasionale, in cui è lo stesso ambiente di apprendimento a modellarsi sul fabbisogno dell’alunno. In questo senso, se ci soffermassimo a riflettere su questa definizione e poi guardassimo alla gestione amministrativa del TFA Sostegno presso l’Università D’Annunzio, si potrebbe ben dire che, a Chieti, l’inclusione la si insegna ma di certo non la si applica.

Di Simone Forcucci

Classe '93 (sì, sono vecchio, lo so), laureato Magistrale in Scienze Filosofiche, laureato Magistrale in Scienze pedagogiche, mematore professionista. Mi occupo prevalentemente di scuola e di quel contorto e perverso rapporto che la politica ha con la scuola italiana. Anche se laureato, mi piace collaborare con Romboweb al fine di divulgare al meglio possibile presso i futuri insegnanti le notizie che da quel mondo, spesso ignoto e oscuro, provengono.

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