Gli studenti di medicina, “occorre un cambiamento”

“Quando arriviamo in “facoltà” abbiamo tutti un bagaglio diverso, nonostante il fine sia il medesimo. Un bagaglio di speranze ed esperienze diverse, così come diverse sono le aspettative che alimentano lo stesso sogno: una volta laureati, avere finalmente tutti gli strumenti utili a diventare coloro che si impegnano a curare. Tuttavia, il corso di laurea di Medicina (così come ogni percorso di laurea) è un viaggio complesso che spesso si compie consumando le nostre energie, i nostri entusiasmi e gli stessi propositi che ci motivavano all’ingresso al primo anno”. 

Puntare all’eccellenza, più in alto…

“Non capita di rado di essere bocciati agli esami sentendoci dire che, nonostante si abbia una preparazione sufficiente, lo studente di medicina debba sempre puntare all’eccellenza, più in alto. Questa forse è una delle formule più gentili con cui si viene boccati, tuttavia, sia che si tratti di un tentativo di scoraggiare lo studente, sia che si voglia indurre lo studente all’idea di non presentarsi all’esame senza avere una totale conoscenza di nozioni che richiederebbero anni e anni di studio e pratica, la retorica ruota sempre intorno ad una parola: perfezione”.

L’odiato e terribile fuoricorso…

La nostra facoltà, che da dentro e da fuori viene vista come il fiore all’occhiello della nostra Università, non si rivela in questi contesti che un enorme tradimento: ore ed ore di studio individuale che rendono il percorso alienante, e che spesso si trasforma in una corsa ad ostacoli senza la concretezza del risultato finale. E chi rimane indietro non ha grandi speranze di recuperare, reagire e riscattarsi perché bisogna correre veloci per evitare di finire sotto la scure dell’essere fuori-corso. L’odiato e terribile fuoricorso. Il tutto schiacciati da incombenze compresse in orari impossibili, con attività sovrapposte ed obbligatorie, senza spesso un reale connotato didattico”.

Senza che sappiano chi sei…

“Lo stesso vale per le attività di tirocinio pratico, ognuna delle quali dovrebbe avere un chiaro ruolo formativo, umano e professionale, ma che troppo spesso si esaurisce nell’essere naufraghi in un reparto, senza che medici, tutor o specializzandi sappiamo chi sei. Ed a volte senza nemmeno avere personale di riferimento a cui rifarsi appartenente al corso di laurea stesso. All’infuori delle attività obbligatorie previste per il conseguimento della professione, il sistema che dovrebbe formarci in parallelo alle ore spese sui libri, e darci una prospettiva concreta che ci motivi ulteriormente ad andare avanti, è disfunzionale e disorganizzato”.

Castiga maggiormente chi rimane indietro…

“Il tutto in un ambiente che ancora oggi non fornisce in modo efficiente i necessari servizi di assistenza psicologica e di sussidio alla vita universitaria, mentre il livello di tassazione aumenta e castiga duramente chi rimane indietro. Pensate che stiamo rappresentando il contesto di un singolo ateneo? Il sistema universitario stesso versa in queste condizioni. Certo, è sempre opportuno evitare generalizzazioni, eppure se è vero che l’Università non è la causa primaria per cui gli studenti e le studentesse decidono che l’unica alternativa residua è il suicidio, che il substrato individuale, familiare e sociale restano i punti cardine su cui lavorare nel percorso di aiuto di chiunque ne manifesti la necessità, il ruolo istituzionale che l’Università ha nella formazione dell’individuo e nel supporto allo stesso, da ogni punto di vista, risulta imprescindibile e non dovrebbe corrispondere al quadro sopra descritto”.

Occorre un cambiamento.

Da una lettera privata di alcuni studenti di medicina dell’Università Gabriele D’Annunzio Chieti-Pescara

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