Otto Dix rappresenta la più grande testimonianza in campo artistico della barbarie della guerra. Ha voluto vivere i traumi del più grande evento del XX secolo, la Prima Guerra Mondiale

Otto Dix
Otto Dix, “Autoritratto”, 1922

“Tutta l’arte è esorcismo. Dipingo sogni e anche visioni, sogni e visioni del mio tempo. La pittura è un tentativo di creare ordine, ordine dentro te stesso. C’è molto caos dentro di me, c’è molto caos anche nei nostri giorni.” Così Otto Dix apostrofava la società e l’epoca in cui viveva. Fondatore della Nuova Oggettività, insieme con George Cross e Max Beckmann, riuscì a portare alla luce le contraddizioni della Repubblica di Weimar degli anni ’20 fino ad arrivare all’evento della Grande Guerra. 

Otto Dix nacque il 2 dicembre 1891 a Untermhaus, Germania, da una famiglia appartenente alla classe operaia. Da piccolo riuscì fin da subito a distinguersi per le sue capacità artistiche che lo avrebbero poi portato a studiare nella Scuola d’arte di Dresda fino a diventare uno degli artisti più importanti dei suoi tempi, prendendo ispirazione soprattutto dalla corrente espressionista. La sua carriera non fu facile, così come neanche fu priva di ostacoli e forti esperienze la sua vita privata. Convinto interventista partecipò attivamente alla Prima Guerra Mondiale, dapprima sul fronte occidentale poi su quello orientale. Nel 1916, dopo il conflitto, espose le sue prime opere tramite le quali è possibile comprendere come il suo pensiero a riguardo sia cambiato. Infatti, Dix rimase molto colpito dalle scene di guerra, dalle immagini di morte che fu costretto a vedere al fronte, dai corpi mutilati dei suoi compagni, dagli incubi che si insinuarono nella sua mente. I suoi quadri diventarono sempre più politici e critici nei confronti della Germania e di come i reduci di guerra venivano denigrati dalla società. Iniziò così una vera e propria produzione artistica dedicata alla Prima Guerra Mondiale, una serie di opere ossessive e ossessionanti che lasciano trasparire pensieri incessanti di morte e distruzione, straniamento e degrado. “Invalidi di guerra giocano a carte” (1920), “Veterani di guerra” (1922) sono alcuni esempi, ma è “La trincea” del 1924 che diede a Otto Dix la fama. Quest’ultima opera generò grande indignazione pubblica: non venivano più rappresentati i soldati che si erano salvati dal conflitto ma che portavano addosso le stigmate di una feroce esperienza, bensì sulla tela vi erano corpi martoriati, disintegrati in una trincea tedesca. La verità era quella. Nessuno poteva più nascondersi. Nello stesso anno, nel 1924, creò, insieme con altri artisti che come lui parteciparono al primo conflitto mondiale, una mostra itinerante intitolata “Mai più guerra!”. Ma le sue opere più importanti sono quelle per cui dedicò più di sei anni per terminarle: “La metropoli” del 1928 e “La guerra” del 1932. Ne “La metropoli” dipinse se stesso, sulla parte sinistra del trittico, nelle vesti di un soldato mutilato che viene avvicinato da un cane affamato che cerca quasi di cibarsi di ciò che resta del suo corpo e dalle prostitute, a Berlino. 

Otto Dix
Otto Dix, “La metropoli”, 1928

Quando nel 1933 i nazisti salirono al potere Dix venne inglobato tra gli artisti degenerati. Hitler definiva tali tutti coloro i quali non si conformavano agli ideali del regime ed all’idea classica di arte, l’unica possibile nella Germania nazionalsocialista. Destituito, quindi, dalla sua carica di insegnante all’Accademia di Dresda, Dix venne messo all’indice dal Furher e venne costretto ad un esilio interno sul Lago di Costanza. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale fu costretto a situazioni di prigionia, dapprima dal regime di Hitler e successivamente preso in ostaggio dai francesi. Dopo il suo rilascio si ritirò a vita privata continuando a dipingere fino al 1969 quando venne colpito da un ictus. La critica nei confronti del regime totalitario, della guerra e degli orrori che ha provocato si fermò qui, dunque, dopo la Seconda Guerra Mondiale. George Heard Hamilton, docente di storia dell’arte alla Yale University, nel 1967 si espresse così riguardo “La guerra”, la sua opera più importante: “Forse la più potente ed anche spregevole espressione contro la guerra nell’arte moderna. Francamente è la qualità della verità assoluta, la verità delle esperienze più ordinarie e volgari, così come il brutto realismo delle esperienze psicologiche che danno al suo lavoro una forza ed una consistenza che nessun pittore contemporaneo ha raggiunto”.

Otto Dix
Otto Dix, “Gli stormtroopers avanzano sotto un attacco di gas”, 1924

Otto Dix rappresenta la più grande testimonianza in campo artistico della barbarie della guerra. Non si è limitato a raccontarla o a condannarla, ma ha voluto farne esperienza ed essere lui stesso al centro di questa inquisizione. Egli ha voluto vedere con i propri occhi gli orrori perpetrati, lasciarsi consumare dalle visioni che ne scaturiranno e dalle conseguenze psicologiche dei traumi riportati dal più grande evento del XX secolo.  

“Ho dovuto sperimentare qualcuno che si schianta improvvisamente accanto a me e la sua morte e il proiettile che lo hanno colpito direttamente. L’ho dovuto sperimentare immediatamente. Lo volevo. Ecco perché non sono affatto un pacifista. O lo sono? Forse ero curioso. Ho dovuto vedere tutto con i miei occhi. Sono così realista, sai, che devo vedere tutto con i miei occhi per confermare che è così. Ho dovuto fare esperienza di tutto quell’orrore, di quella mancanza di profondità della vita per me stesso.”

Otto Dix, durante la Grande Guerra

Redazione Romboweb – Marzia Cotugno

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