L’8 agosto 1991 la nave albanese “Vlora” attracca nel porto di Bari e 18 mila profughi albanesi arrivano in Italia , noi siamo la loro unica speranza
Ogni epoca, ogni secolo ed ogni decade è caratterizzata da flussi migratori che hanno luogo in ogni parte del mondo. È il 1990. É la volta degli sbarchi, in Italia, di migranti provenienti dai paesi balcanici, in particolare dall’Albania. Infatti, dopo la dissoluzione della Jugoslavia (terra degli slavi del sud), l’Albania attraversò un periodo di crisi caratterizzato da rivolte violente e scontri durissimi proprio a causa della disgregazione della Repubblica Socialista Federale.
Dopo la morte di Josip Broz Tito, detto “il Maresciallo”, la via nazionale al socialismo jugoslavo cessò di esistere, almeno nella sua veste tollerante. Così Slobodan Milošević, leader del partito socialista serbo, iniziò la sua propaganda volta a rielevare la Serbia rispetto agli altri territori della Jugoslavia. Questo fenomeno si rivelò molto pericoloso. In seguito al comizio del 20 aprile 1987, svolto contro i valori di “fratellanza ed unità” di Tito, i quali avevano permesso una pacifica convivenza tra popoli diversi per 35 anni, Slobodan Milošević inneggiò la folla lì presente di etnia serba contro la popolazione kosovara di etnia albanese. Infatti, poco tempo prima, Tito aveva sancito la piena autonomia alle province serbe di Vojvodina e Kosovo, costituendo così due possibili voti antiserbi alle elezioni, per arginare il predominio della Serbia su tutta la Jugoslavia. Alla morte di Tito la Serbia era governata dal moderato Ivan Stambolić affiancato, però, da un Milosevic assetato di potere. Tra i due ogni tentativo di mediazione era quasi impossibile.
In una assemblea che riuniva i massimi dirigenti del partito comunista serbo Milošević affermò «Non può esserci alcun compromesso. La crisi del Kosovo si aggrava giorno dopo giorno. Impossibile attendere!». Cercò di accaparrarsi, così, tutti i voti possibili. La maggioranza era d’accordo con l’inizio di un conflitto nei confronti del Kosovo. Non solo. Milosevic aveva intenzione di conquistare tutta la Jugoslavia e porla sotto il giogo della Serbia. Nonostante ciò, uno ad uno, tutti gli altri Stati che componevano la Jugoslavia (Slovenia, Croazia, Bosnia – Erzegovina, Montenegro, Vojvodina e Kosovo), contrastarono l’esercito di Slobodan Milosevic e riuscirono ad ottenere l’indipendenza. La lotta del Kosovo fu molto dura. Gli albanesi, popolazione caratterizzata da un fortissimo senso di fratellanza, non esitarono ad accorrere in aiuto dei kosovari. Fu proprio in quel momento che anche l’Albania venne invischiata in questo amaro conflitto. Gli scontri andranno avanti fino al 1999 (molti albanesi decisero già nel 1990/1991 di emigrare, soprattutto in Italia, per scampare il prima possibile da quella situazione disastrosa).
È l’8 agosto 1991. La nave albanese “Vlora” attracca nel porto di Bari. Un’immagine che non si dissolverà mai. 18 mila profughi albanesi arrivano in Italia e l’allora sindaco barese Enrico Dalfino si espresse così «Sono persone, persone disperate. Non possono essere rispedite indietro, noi siamo la loro unica speranza». Infatti, anche l’Italia è da sempre stata alleata, anche se in modo piuttosto anomalo, della “Terra dell’aquila”: nella Prima Guerra Mondiale cercando di conquistare degli avamposti, e nella Seconda Guerra Mondiale stabilendo un vero e proprio protettorato. Ancora oggi le due Repubbliche hanno un rapporto di fratellanza. Gli arbëreshë, gli albanesi d’Italia, sono stanziati soprattutto nel sud da tempo immemorabile. Infatti, gli accadimenti degli anni Novanta sono solo un esempio a fronte dell’intera storia di un esodo che ha origini rintracciabili sin dal Medioevo. La Piana degli Albanesi in Sicilia, dove risiede la più popolosa comunità albanese d’Italia, è stata teatro, in epoca contemporanea, di un importantissimo avvenimento: furono numerosi coloro che si batterono per l’Unità d’Italia ospitando Giuseppe Garibaldi ed il suo seguito combattendo con loro contro i Borboni per la conquista di Palermo. Nelle comunità arbëreshë la lingua in uso è quella albanese; non c’è individuo che abbia almeno un discendente albanese che non sappia alla perfezione la lingua albanese e che non la parli sistematicamente. La cultura e le tradizioni sono state custodite e tramandate gelosamente, sono parte della loro identità di cui vanno orgogliosamente fieri. La religione da loro professata è quella cristiano–ortodossa di rito greco – bizantino e per questo nel territorio italiano sono presenti molte chiese e luoghi religiosi nei quali le celebrazioni avvengono in lingua greca antica. Nella provincia di Pescara, più precisamente a Villa Badessa, frazione del comune di Rosciano, c’è la chiesa di Santa Maria Assunta, di rito greco–bizantino, che fa capo alla Diocesi di Lungro, in Calabria, risalente al 1754.
La comunità albanese abruzzese è una delle più importanti del territorio italiano. Per conoscere da vicino quello che è il racconto storico delle migrazioni albanesi verso l’Italia, l’Arrivista ha deciso di intervistare una ragazza di origine albanese, figlia di quella generazione che, per cercare fortuna e per migliorare le proprie condizioni di vita, ha deciso di emigrare dando vita a importanti flussi che sono stati per anni l’oggetto di discussione e dibattito politico. Marcella racconta con molta precisione la storia della sua famiglia, trasportata emotivamente dagli avvenimenti che hanno segnato i suoi genitori. Lei afferma che suo padre, il 3 marzo 1991, decise di lasciare per la prima volta l’Albania e di salpare su di una nave a Valona per andare ad esplorare una nuova terra. Così arrivò in Italia, più precisamente, a Bari. Intraprese questo viaggio ad insaputa dei propri genitori, che preoccupati del suo non ritorno, non seppero più cosa pensare. Il padre di Marcella si trovò catapultato in un altro ambiente, completamente diverso da quello del suo paese di origine. Infatti, da Bari, lui ed i suoi connazionali vennero condotti ad Anversa degli Abruzzi, un piccolo paese di montagna. Non poter vedere il mare fu sconcertante, ma la possibilità di trovare un lavoro e di poter migliorare la propria vita diede loro forza. Dopo aver trovato un impiego e dopo essersi sistemato, Marcella confessa che suo padre face ritorno in Albania molto spesso per fare visita alla sua famiglia. Fu proprio in uno di questi viaggi che si innamorò perdutamente di una ragazza, che poi divenne sua moglie. Dopo il matrimonio si stabilirono entrambe in Italia. La madre di Marcella si trovò, anche lei, difronte ad alcune difficoltà. Talvolta era spaventata a causa delle barriere di tipo linguistico – culturale. Ma tutto ciò fu superato, però, grazie a delle persone molto speciali che loro ringraziano tutt’oggi. Nonostante Marcella sia inevitabilmente legata all’Albania, suo paese di origine, non apprezza il contesto sociale e culturale ancora lì impiantato. Negli anni Novanta, dunque, l’Albania non conobbe libertà, di nessun tipo. Vi fu insediato un regime dittatoriale di tipo comunista dal 1976 al 1992. Nessuno era libero, tutti erano soggiogati dal totalitarismo. Le condizioni di vita erano alla stregua della povertà, soprattutto nelle campagne; alle ragazze e alle giovani donne non era raccomandato uscire da sole di casa ed in televisione non esisteva libertà di espressione. Marcella spiega che, anche se il regime cadde nei primi anni ’90, il paese si sta effettivamente riprendendo in questi ultimi anni, sebbene la mentalità di quei tempi sia ancora radicata nella società odierna e fa fatica a scomparire. Secondo Marcella, la strada per l’evoluzione ed il cambiamento è ancora lunga, ma la storia dei suoi genitori le ha permesso di crescere cosciente di talune cose e di essere in possesso di valori importanti e fondamentali che fanno da sfondo al suo bagaglio culturale e personale.
Redazione Romboweb – Marzia Cotugno