Sempre più scrittori e meno i lettori. Un popolo in crisi culturale

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L’Italia…con le sue spiagge dorate e i tramonti infuocati, con le sue cime innevate a un passo dal blu, con il sole che scotta e la pioggia che distrugge, con la musica alta e il vento in faccia, i colori di un’emozione, il profumo della speranza, il coraggio della vita. L’Italia dei cervelli in fuga, degli scienziati, dei musicisti, dei poeti…questa nostra Italia di oggi che ci piace tanto raccontare e che non sappiamo più ascoltare, noi, popolo di scrittori incapaci di leggere.

Scriviamo, scriviamo anche troppo, ci improvvisiamo romanzieri, opinionisti, giudici di un mondo che non sentiamo più neanche tanto appartenerci, scriviamo anche se sappiamo che non ci leggerà nessuno. E allora viene da chiedersi perché, perché raccontarlo questo nostro paese, perché raccontarci se non interessa che a pochi eletti, se le nostre parole rimarranno solo un rumore di sottofondo tra mille altre parole rumorose. Perché è un modo come un altro di riprenderci questo mondo che ci sfugge, così tecnologico, così veloce, così lontano che è difficile starvi al passo; è un modo per dire che ci siamo, per dire chi siamo e dove stiamo aspettando, perché in fondo non è importante che qualcuno ti ascolti quando hai bisogno solo di far sentire che ci sei. Scrivere è un grido d’aiuto in un paese che non ci aspetta, che corre dietro a questo mondo; noi ci facciamo aspettare così. Ci chiamano egocentrici, chiacchieroni, i sognatori che vivono fuori dalla realtà; non sanno che stiamo provando a cambiarla quella realtà, o almeno stiamo provando a capirla, noi che siamo gli irriducibili, quelli che al progresso, alla tecnologia non si lasciano andare del tutto, che ancora credono nella forza della parola. Se non ci leggono, noi non possiamo farci nulla, non vogliamo farci nulla, non è una sconfitta. Scriviamo prima di tutto per noi stessi e se a capirci sono solo in pochi tanto meglio: il nostro è un segreto che sussurriamo, è un grido, sì, ma a voce bassa, preferiamo che ad ascoltarlo sia solo chi voglia davvero, non tutti devono. La nostra è un’Italia che ci prova, che non rinuncia, che ha tanto da dire e vuole farlo adesso, siamo tanti o pochi, che differenza fa? Non ci leggono, no, comunque non ci leggono. Colpa del mercato, del costo dei libri che aumenta sempre, della fretta, del tempo che non basta mai e a leggere si sa, il tempo serve. Tutte scuse, chi legge lo fa sui sedili di un treno, in fretta, su una panchina di un parco nell’ora di pausa col tempo che non basta ma si ruba un po’ qua e là per farlo bastare, appoggiato ad un muro aspettando un autobus che fa tardi, sui gradini di una scala, in mezzo al nulla o in mezzo al tutto, da solo o tra la folla. Chi legge si ritaglia un momento che vive come fosse un’eternità, non ignora il mondo, chi legge scriverà per farsi ascoltare come ha saputo ascoltare chi ha scritto. Non ci ascoltano tutti ma finchè anche solo un uomo sulla terra abbia la coscienza di farlo, lasciateci scrivere. Parole, tante parole e fiumi di inchiostro e pagine, pagine, pagine. La domanda che ci si pone diventa allora un’altra: l’Italia, paese di scrittori più che di lettori, ma a scrivere sono davvero troppi? Forse no, forse sono solo quelli che hanno capito, che hanno saputo scommettere su ciò che hanno da dire. A chi lo dicono non importa. Noi, popolo che si racconta dobbiamo continuare a raccontarci: fino a quando continueremo a farlo la nostra Italia sarà viva, sarà un Paese che esiste e non si spegne schiavo del silenzio, un Paese che corre dietro al mondo ma che non si fa schiacciare, non troppo almeno a parole. Scrivete, scriviamo.

Gloria Di Giannantonio

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