La maggior parte dei filosofi non ha capito un cazzo del web

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Ormai è chiaro, il web ha rivoluzionato le nostre vite. Dal lavoro fino allo svago. Tutti e in qualunque momento usufruiamo dell’enorme quantitativo di informazioni e di immagini che il web ci mette a disposizione. Questo enorme potere dell’immagine lo conosceva bene il sociologo Marshall McLuhan che già negli anni ’60, molto prima dell’avvento del web, asseriva «The medium is the message», il mezzo è il messaggio. In questo senso, il web è il più potente distributore di messaggi, nonché quello con cui ci rapportiamo più spesso. La praticità e la comodità della rete sono innegabili. In particolare il potere del web di fornire informazioni ha rivoluzionato il concetto classico di “formazione”. Ciò ci porta quindi a capire immediatamente quanto il web abbia cambiato il modo di formarsi nel senso culturale e didattico del termine.
Questa sembrerebbe, a prima vista, una considerazione quasi banale nel mondo contemporaneo; ma evidentemente non per tutti: chiusa nei loro studi, esiste una ben definita categoria di sinistri individui, li conoscono tutti e molto bene, sono i docenti universitari. I professori universitari: quelli che sfoggiano un linguaggio forbito, quelli che girano in giacca e cravatta, quelli che tengono lezioni e conferenze. Sono le persone che dovrebbero avere capacità e voglia di trasmettere il sapere. L’esperienza diretta di molti studenti potrebbe confermare. Troppo spesso i docenti si ritengono detentori di un sapere elitario ed esclusivo ed hanno quasi necessità di conservarlo gelosamente. Incapaci di comunicare qualunque cosa tramite il web, gran parte di questa turpe categoria è convinta che le loro decisioni, spesso prese all’ultimo minuto, si manifestino nelle teste degli studenti come per emanazione divina. Molti di loro utilizzano gli stessi testi da più di quarant’anni, ignari che i testi in questione siano ormai fuori commercio da altrettanti anni. Nel migliore dei casi assegnano testi scritti da loro medesimi, ma spesse volte anche questo tipo di testi è fuori commercio dall’epoca di Aristotele. Queste persone vivono come avulse dalla realtà e convinte di essere il centro dell’universo. Premettendo che ogni docente universitario dovrebbe essere in obbligo di usare quotidianamente il web come mezzo di comunicazione, le mancanze di questa categoria sono doppie nel caso dei docenti che insegnano discipline umanistiche quali la letteratura, la storia, le scienze umane e, soprattutto, la filosofia.
Troppo impegnati a citare grandi autori del passato, gli accademici non sembrano accorgersi della rivoluzione che sta avvenendo nei metodi d’insegnamento. Questa infelice categoria elitaria guarda con sufficienza, e a volte con disprezzo, quello che è il futuro. Convinti di essere immortali, si fanno carico di un sapere che rifiutano di trasmettere in modo pieno alle generazioni future. Incapaci di realizzare che il sapere è qualcosa di condivisibile e che loro non sono di certo immortali come credono. Basta guardare a una qualunque statistica per rendersi conto che l’età media degli stessi ricercatori universitari, i cosiddetti “giovani”, si aggira attorno ai quarant’anni; evitando, ovviamente, di toccare il tasto dell’età media degli ordinari.
Insomma la condizione della docenza universitaria italiana andrebbe sicuramente rivista o quanto meno controllata periodicamente. L’autoreferenzialità li sta rendendo ciechi, incapaci di guardare ad un mondo che si sta sviluppando, senza alcuna capacità di riflessione critica.
E mentre qualcuno scrive ancora “c-h-i-o-c-c-i-o-l-a” sperando che l’e-mail arrivi al destinatario, l’anelito di speranza è di ottenere, in un futuro non troppo lontano, un sistema formativo istituzionale che si renda conto che il mondo sia cambiato: l’università dev’essere una fucina di saperi, un luogo dove crescere intellettualmente, non un “esamificio” basato su conoscenze manualistiche. Un mondo accademico distante dal mondo reale non farà altro che trasferirci saperi poco aderenti alla realtà. Conoscenza non è competenza! 
L’opera utilizzata come immagine è di Renato Guttuso “La discussione”- 1959-1960.

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