La Bibliografia teatina nasce per far conoscere Chieti ed è una vera e propria opera magna che raccoglie circa duemila fonti, dalle più antiche alle più recenti: la parola agli autori 

La neo-edita “Bibliografia teatina” si è appena affacciata sul contesto storico e culturale non solo chietino. Infatti, l’opera degli autori Angelo Iocco, Raffaele Bigi e Marino Valentini oltre che essere acquistata, potrà essere consultata nelle biblioteche locali e presto sarà disponibile anche sulla piattaforma “Google books”.  «La volontà è quella di far conoscere Chieti con questo mezzo a cui speriamo di far avvicinare studiosi, studenti che devono scrivere delle tesi e ricercatori vari», ci tiene subito a precisare Raffaele Bigi, il quale aggiunge «Il lavoro di ricerca è stato utile anche a noi perché ci ha permesso di venire a conoscenza di testi molto importanti per la ricostruzione della storia della Città». Questo il manifesto programmatico del gruppo di autori che si autodefinisce Cenacolo. «Innanzitutto, Chieti è una città dalle origini antichissime: avere più di tremila anni significa raccontare tante storie. Ciononostante, è strano che Chieti venga sottovalutata da questo punto di vista. Allora ci siamo posti delle domande – noi di questo cenacolo insieme ad altri amici – e abbiamo deciso di portare avanti una specie di edizione, inizialmente sui social, per far conoscere quanto più possibile ai nostri concittadini, agli abruzzesi tutti, ma anche al di fuori, le peculiarità artistiche e storiche dell’antica Teate», così Marino Valentini spiega la nascita di questo progetto e prosegue «Poi, la pubblicazione della Bibliografia rientra in questo discorso». Si tratta di una vera e propria opera magna che raccoglie circa duemila fonti, dalle più antiche (in greco e latino) alle più recenti (l’ultima proprio datata 2021). Gli autori raccontano che il lavoro di ricerca è durato un anno, lo scorso, proprio durante il periodo più critico della pandemia. Lo stesso Bigi confessa che molto materiale è di sua proprietà, libri molto antichi che in quel momento si sono rivelati utilissimi, ma altre fonti davvero preziose sono state rintracciate online, addirittura su una piattaforma per la vendita di testi statunitense. «Quante più ricerche si fanno, tanto più Chieti è viva. Abbiamo trovato in testi del 1700 e del 1800 notizie di vari riti cattolici di cui prima non sapevamo nulla», continua lo storico teatino. Il più giovane tra gli autori Angelo Iocco, classe 1995, tiene a sottolineare che l’Abruzzo non è costituito solamente delle mete più turistiche e più conosciute, ma che ogni giorno vengono ritrovati reperti, monumenti e opere in moltissime città e località abruzzesi. Riguardo la sua nuova esperienza come co – autore di un testo di matrice storica, Iocco racconta «Mi sono avvicinato a questo mondo aiutando Raffaele Bigi con la copertina di un suo saggio recente “I Valignani a Chieti” nel 2019, e da lì abbiamo iniziato a frequentarci e ad occuparci di abruzzesistica. Essendo schierato dalla parte di coloro che vogliono far conoscere l’Abruzzo, voglio dare un giusto valore all’aspetto storico e artistico della Regione che ha avuto il suo ruolo nella storia d’Italia, del Regno di Napoli, ecc.». Un progetto davvero ambizioso e nobile quello del giovane classicista che già da adesso sembra avere le idee molto chiare sulla sua missione di storico. Ma ha idee molto precise anche su un altro aspetto, «dovrebbe esserci un interesse da parte degli stessi studenti della d’Annunzio, poiché la nostra città ha diversi musei archeologici di notevole importanza, ma anche i Templi, l’Anfiteatro, ecc.».

Dopo aver illustrato il contenuto e lo scopo dell’opera, Bigi si lascia andare «Purtroppo, non molti hanno parlato di questo libro. Alcune testate, pur sapendolo, si sono dimenticate dell’esistenza della Bibliografia. Abbiamo dato il libro anche ad alcuni giornalisti, ma non ne hanno parlato. Non vogliamo la pubblicità per vendere il libro, vogliamo che ci sia un ritorno per Chieti». Gli autori, stimolati sulla questione degli attuali scavi di Piazza San Giustino e sul possibile turismo che, con le dovute accortezze, potrebbe essere auspicabile grazie alle ri-scoperte archeologiche, hanno detto la loro. Raffaele Bigi sentenzia subito che «Chieti pare non sia conosciuta nemmeno sulla cartina geografica. Però, posso dire che indagando sul web ho visto che in una biblioteca di Venezia ci sono libri su Chieti, ad Ascoli anche, ad Ancona la stessa cosa, a Napoli idem. Testi del passato di Chieti. Per quanto riguarda la Piazza, mi farebbe piacere se uscisse qualcosa di interessante». Valentini, invece, si espone di più «sembra quasi che da una parte ci siano le Istituzioni deputate e dall’altra ci sia la cittadinanza. Dappertutto, nell’interesse comune di tutti, c’è collaborazione. Qui sembra quasi che le due parti prima citate si siano poste su due piedistalli diversi, a rimbrottarsi l’una contro l’altra. È bene che si ricordi che questi beni archeologici sono di proprietà della collettività. Quando ci sono giacimenti archeologici, bisognerebbe rendere conto alla collettività che è titolare di questo patrimonio. Mi sembra che la Soprintendenza faccia tutto per conto proprio, senza neanche sentire il parere di alcuno. Anche le transenne che sono state messe sembrano voler coprire da subito quello che si sta eseguendo. La faccenda dovrebbe riguardare tutti quanti. Il cittadino deve essere, secondo me, informato sull’andamento dei lavori tramite un ufficio stampa. Altrove non credo vadano così le cose». Alla domanda «secondo lei come è possibile che qui avvengano tali cose?», risponde «si è tramutato tutto in una querelle tra esperti del settore e appassionati e studiosi che non hanno l’esperienza. Non si è voluto ascoltare neanche un consiglio o un parere di qualcuno che conosce bene la storia di Chieti. Non mi sembra giusto che questa voce non sia stata ascoltata». L’altro autore teatino, Raffaele Bigi risponde che non stiamo scoprendo niente e cita i nomi di Zecca e Lanzellotti, coloro che hanno già scritto tutto. Il giovane nativo di Ortona, Angelo Iocco, si esprime così in merito alla tematica «non dovrebbero esserci rivalità né tra città né tra istituzioni e cittadini. Anche a Pescara hanno scoperto dei reperti a Rampigna, ma Barbi già negli anni ’90 aveva capito cosa c’era lì. Dovrebbero valorizzare ciò che hanno. Maggiore equità per tutte perché ne beneficiano i cittadini e gli studenti dell’Università potrebbero partecipare agli scavi o alle altre attività per conoscere meglio il patrimonio della propria terra. Così dovrebbero lavorare le università».

La discussione si fa sempre più fitta e sembra che di cosa c’è a Chieti non si possa finire mai di parlarne. «Azzardo a dire che sotto Chieti ci sono altre città. Si ipotizza addirittura che ci siano due impianti termali a Chieti, di cui una a Colle Gallo. Anche se questo mi rimane difficile pensarlo perché Colle Gallo è un’altura e, di solito, gli impianti termali si trovavano a valle proprio per raccogliere le acque che defluivano. Qui si tratterebbe, addirittura, di portare l’acqua verso l’alto. Però non è escluso, tanto che in Piazza Valignani, nel pozzo c’erano le cisterne. Se c’erano le cisterne, si poteva tranquillamente trasportare l’acqua fino alla Piazza», continua Valentini. Insomma, basta leggere i testi antichi e capiremo in che città splendida e florida ci troviamo, anche perché moltissimi reperti, come ricordano gli Autori, sono fuori città e non possiamo fruirne. Problema di fondi? Non si sa. Problema dirigenziale? E chi può dirlo. Certo è che le incognite sono tante, ma le risposte sono ancora troppo poche, anzi, il silenzio regna sovrano. Quello che sembra chiaro è che si tratta, molto probabilmente, di volontà. Paura di navigare nell’incerto? Paura di investire su un territorio in cui, poi, non si troverà nulla? Se fossero questi i timori, mille domande sorgerebbero lecitamente. «Il Prof. Lama nel 1750 diceva l’anfiteatro di Taormina non era niente in confronto a quello di Chieti». Con le parole di Raffaele Bigi potremmo rispondere a tanti interrogativi. 

Potrà la questione degli attuali scavi di San Giustino, in un futuro, in un libro come il vostro, essere un avvenimento che verrà ricordato, storiograficamente parlando?

M. Valentini: «Sicuramente. Ogni giorno ri-scopriamo qualcosa di nuovo. In un mio recente libro ho raccontato cose che prima non si conoscevano di Chieti: il parafulmine che sarebbe stato inventato da un teatino, la Carboneria che è nata a Chieti, la dichiarazione di indipendenza americana firmata da un tale di Chieti, la regina d’Inghilterra di diversi secoli fa che aveva sangue teatino. Non ci meravigliamo se da quanto emergerà da questi scavi si potrà ricostruire una bella fetta della Storia di Chieti».

A. Iocco: «Si. Certo. Non è stato tutto scritto. Cito Marco Vaccaro che si sta ancora occupando dell’arte barocca e manieristica a Chieti. C’è ancora tanto da scrivere. Da cosa nasce cosa. Qualsiasi documento può essere utile. La ricerca va perseguita e finanziata».

R. Bigi: «Quanto più leggiamo, quanto più studiamo, quanto più scriviamo, quanto più tocchiamo con mano, tanto più possono nascere delle interpretazioni. A volte le interpretazioni di oggi possono modificare o annullare quelle precedenti. Non dobbiamo trascurare il nostro passato, perché potrebbero esserci chiavi di lettura diverse». 

Redazione Romboweb – Marzia Cotugno

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