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Domenica 12 aprile Hillary Rodham Clinton ha formalizzato la sua candidatura alle primarie del Partito Democratico americano per le elezioni presidenziali del 2016. Ecco alcune riflessioni

Le primarie democratiche avranno luogo a partire dall’inizio dell’anno prossimo e finora Clinton è l’unica candidata presentatasi per ottenere la nomination da parte del suo partito. 

Hillary Clinton è probabilmente la donna americana (se non occidentale) dal curriculum politico più ricco e prestigioso in assoluto: dopo un’importante carriera da avvocato attivo nei diritti civili, è stata First Lady degli USA dal 1992 al 2000, dunque senatrice dello Stato di New York per otto anni e Segretario di Stato dal 2009 al 2013, durante il primo mandato di Obama. Ha dunque una grande esperienza istituzionale e internazionale che, unita alla sua grande influenza nel partito e alla sua capacità di attrarre fondi, potrebbe rendere il suo partito una macchina da guerra imbattibile. 
Ma la strada verso la Casa Bianca non è affatto spianata come sembra. Proprio la sua esperienza potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: i repubblicani focalizzeranno sicuramente l’attenzione sul fatto che Clinton rappresenti il passato, il vecchio, il logoro. Inoltre l’assenza di rivali interni tra i democratici renderà le primarie  molto prevedibili e poco interessanti, a differenza di quelle repubblicane in cui gli sfidanti sono già tre (Cruz, Paul e Rubio) e potrebbero salire a quattro con la probabile entrata in scena di Jeb Bush: questa forte competitività interna catalizzerà l’attenzione dei media sul Partito Repubblicano, a meno che lo staff di Clinton non si mostri capace di guidare il gioco.
A questo si aggiungono i punti di debolezza che potrebbero incrinare la campagna elettorale della Clinton come la totale assenza dal panorama politico dopo le dimissioni dal Dipartimento di Stato a inizio 2013, le polemiche sulla gestione della “primavera araba” e sull’attentato all’ambasciata statunitense in Libia nel 2012, e recentemente il caso delle email inviate dal suo indirizzo privato invece che da quello istituzionale quando era Segretario di Stato.

Il rischio è che la  sua campagna potrebbe essere  percepita come un referendum su otto anni di Obama: l’operato del presidente uscente sarà globalmente approvato dall’elettorato? Il frame delle presidenziali 2016 pare sarà proprio questo: continuità o discontinuità?

 

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