Simboli, immagini e hashtag, come viene comunicata l’indignazione e come si trasforma.

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L’enorme sviluppo dei mezzi tecnologici di comunicazione nell’ultimo decennio ha avuto come conseguenza primaria l’aumento del volume e della velocità di circolazione delle notizie.

L’avvento dei social network ha creato il fenomeno della condivisione mediatica, per cui oggi è molto più facile venire a conoscenza in pochi minuti di un qualsiasi evento che accade nel mondo. In molti casi la condivisione sui nostri profili consente di esprimere un parere personale sull’evento. Tra le notizie immediatamente condivise e condivisibili rientrano, ovviamente, anche gli eventi tragici, che da sempre hanno il potere di catturare immediatamente l’attenzione del pubblico.

In particolare, la possibilità di accedere alle immagini rafforza l’impatto degli eventi più cruenti e conseguentemente invoglia il pubblico alla condivisione anche per dimostrare la partecipazione e il coinvolgimento all’evento in questione.
Tuttavia l’enorme mole di notizie che gira su internet ha come conseguenza la loro “temporaneità”, ovvero una volta che la notizia è stata condivisa e magari si è manifestato il proprio sdegno attraverso commenti o l’adozione di immagini “comuni”, essa viene abbandonata e cade quasi sempre nel dimenticatoio.
Ne è un esempio lampante la vicenda dell’attentato alla sede parigina del giornale satirico Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015 che ha provocato dodici vittime: immediatamente la scritta Je suis Charlie è stata condivisa su milioni di bacheche dei social network, rimanendo la notizia più diffusa per sole due settimane.
Ampia eco ebreve ha avuto anche la vicenda di Aylan, un bimbo siriano annegato durante la fuga dal suo paese e tragicamente rinvenuto a faccia in giù sulla spiaggia di Bodrum (Turchia). Forte e d’impatto era la fotografia che accompagnava la notizia.
Tutto cambia, anche l’indignazione. Come dimenticare i fucilieri di marina, incarcerati in India per aver ucciso per errore dei pescatori, visti come prigionieri di guerra e oggi sono il pretesto “ignorante” di molte affermazioni illogiche, oppure l’hashtag dedicato alle vittime dell’attentato alla sede del giornale satirico francese, a sua volta riciclato per moderne crociate contro la morte del divertimento nella riviera romagnola in seguito alla chiusura di una celeberrima discoteca: #jesuiscocoricò.
 
L’enorme quantità di notizie diffuse su internet cattura la nostra attenzione per un tempo limitato.
Ora l’attenzione globale è concentrata sull’orrore degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 presentati come un attacco al cuore dell’Occidente e un’aggressione ai suoi valori. Immediatamente è iniziata la gara per chi mostrasse il modo migliore di offrire solidarietà alle vittime e ai familiari.
Inoltre la superficialità delle persone che nell’immediato mostrano interesse per gli eventi tragici, fa sì che questi vengano dimenticati in breve tempo, o peggio ancora che gli stessi protagonisti vengano messi in ridicolo. Tutti gli occhi sono su Parigi, tempo un paio di settimane, forse meno, o il tempo per indignarci per qualcos’altro e sarà tutto finito. 

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