Anomalisa: un viaggio nella patologica isteria della società moderna, Charlie Kaufman per la prima volta a briglia sciolta

Michael Stone, autore di un best seller sulla consulenza riguardante il servizio clienti, si trova a passare una notte nel lussuoso Hotel Fregoli a Cincinnati per una conferenza che dovrà tenere il mattino dopo. Sull’orlo di un precipizio, a causa di un male di vivere che lo consuma da anni fra alcol, sigarette e allucinazioni, riesce finalmente a vivere una notte piacevolmente “anomala”. Questo è dunque il soggetto scelto da Kaufman per il suo primo lavoro indipendente dalle grandi distribuzioni e finanziato con una campagna di crowdfunding.
Kaufman non a caso sceglie un hotel, luogo in cui centinaia di persone incuranti l’una dell’altra si incrociano ogni giorno,  perse nelle proprie nevrosi, in fin dei conti tutte uguali. Non è un caso che il nome dell’hotel sia Fregoli, nome di una sindrome psichiatrica, infatti il protagonista ritiene di essere perennemente perseguitato dallo stesso individuo che rivede nel volto e nella voce di tutte le persone che incontra. Non è un caso, ancora, il fatto che il protagonista sia un guru della consulenza nel servizio clienti, i quali insieme a tutte le altre persone sono implicitamente percepiti dal protagonista come infinite iterazioni della stessa  personalità tragicamente noiosa.
La tecnica della stop motion viene  magistralmente utilizzata e i volti e i gesti dei pupazzi ricordano vere emozioni umane. La regia, decisamente immersiva, accompagna delicatamente il viaggio nell’introspezione esistenziale del protagonista. Il commento musicale è discreto e adeguato. Una messa in scena dunque della ripetitività, dell’omologazione, della superficialità, della noia, della depressione e della solitudine che gli individui possono vivere nella società moderna. 
Certamente non è un film che si metabolizza alla prima visione e che lascia indifferenti. Può lasciare delusi non solo per l’ingannevole trailer (e chissà che non sia volutamente tale), ma anche perché lo spettatore viene guidato su dei binari emozionali verso un’apparente salvifica catarsi che finisce però nell’ennesimo vicolo cieco: nessuna speranza, nessuna via d’uscita, nessuna lezione né morale da imparare per il protagonista e per noi
Qualcuno potrebbe obiettare (aspettandosi dalla pellicola un senso più profondo) che la realizzazione e la messa in scena della superficialità della società moderna sia banalizzata, già vista, troppo semplicistica. Probabilmente è così, ma tutto ciò è un difetto? Noi cerchiamo spesso nei film personaggi straordinari che abbiano qualcosa da insegnare, storie fantastiche o anche vere  di donne e uomini che hanno cambiato il mondo. Bellissime fiabe, film d’azione spettacolari e film intellettuali sofisticati, non cerchiamo la realtà, non quella ordinaria almeno, la realtà dell’eroe, del supereroe o della squadra di supereroi. La realtà dei grandi uomini e di chi è stato simbolo per tanti, anche se talvolta siamo attratti dalla realtà del disadattato, del drogato, del criminale. Questo film ha il pregio di mettere in scena davvero, senza edulcorare, spettacolizzare o regalare facili morali da discount, il vuoto patologico ed eterno ritornante chiacchiericcio della nostra società. E quale modo migliore del farlo utilizzando metafore banali? Questo film può essere considerato noioso e banale nella misura in cui è noiosa e banale la realtà stessa. Per cui, se non gradite la rappresentazione della realtà ordinaria al cinema, questo film vi deluderà.

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